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Hitler e l’Arte Degenerata

La persecuzione delle Avanguardie artistiche da parte del regime nazista

Nel marzo del 2018 la Nexo Digital ha presentato un portentoso docufilm, “Hitler contro Picasso e gli altri”, che racconta, come recita il sottotitolo, “l’ossessione nazista per l’arte”.

Nel docufilm si parla di 600.000 opere d’arte e manoscritti che i nazisti hanno trafugato. Sono stati furti commissionati da Hitler e dal suo compagno d’armi Hermann Goring, soprattutto ai danni di famiglie e di mercanti d’arte ebrei. Veri “furti di stato”, giustificati dall’irreperibilità dei proprietari che, in realtà, erano stati catturati o uccisi nei campi di sterminio.

Dopo la guerra è stato molto difficile dimostrare la legittima proprietà delle opere ritrovate e acquisite da musei pubblici. Si chiedeva di esibire documenti d’acquisto e foto delle opere che, in quanto reduci dai campi di sterminio, non potevano reperire.

In alcuni casi, erano stati gli stessi proprietari a sacrificare spontaneamente il proprio patrimonio artistico in cambio di un visto per l’espatrio per sé e per la propria famiglia nella speranza di salvarsi.

Le opere trafugate, trasportate su appositi treni, venivano nascoste nelle miniere di sale di Altausse o in quella di potassio a Markers in attesa di destinazione.

Solo una piccola parte (circa centomila) delle opere rubate è tornata alla luce. Molte furono distrutte o usate come compenso per i mercanti trafficanti e per l’esercito di storici dell’arte a servizio del Fuhrer.

Perché requisire le opere d’arte e il patrimonio culturale? Hitler e Goring non ambivano tanto ad un arricchimento economico quanto ad un riscatto sociale. Era ben chiara loro l’importanza della cultura e del patrimonio che la rappresentava ai fini di una scalata e di un riconoscimento sociale.

Hitler sognava di realizzare a Linz, dov’era cresciuto, un nuovo Louvre, “il museo dei musei”, cioè il luogo dove dare forma al riscatto dalle sue dubbie e discutibili origini (un padre era figlio illegittimo, forse, di un uomo ebreo).

Per la realizzazione del suo sogno si era circondato di personaggi senza scrupoli, quali Hildebrand Gurlit, il mercante d’arte divenuto uno dei suoi più stretti collaboratori nell’opera di trafugamento e di furti d’arte, il cui patrimonio artistico, scoperto nel 2010, comprendeva circa duemila capolavori di epoche diverse per un valore di oltre un miliardo di euro.

Il rinvenimento avviene in Svizzera, quando, del tutto casualmente, su un treno diretto a Monaco viene fermato un anziano cittadino tedesco che nascondeva 9000 euro nel risvolto dei pantaloni. Le successive indagini hanno portato all’eccezionale ritrovamento delle opere, nascoste tra scatoloni e pattume nel suo appartamento di Monaco e all’identificazione dell’uomo, Cornelius Gurlit, come figlio ed erede del suddetto Hildebrand.

Pezzi della collezione Gurlitt presentati nella sala espositiva Martin-Gropius-Bau a Berlino, Germania, settembre 2018.

Insieme a capolavori di artisti come Canaletto e Durer, Marc, Matisse, Kokoschka e un’infinità di opere di quella che il regime nazista definiva “arte degenerata” .

E’ il 1937 e da questa etichetta parte la campagna nazista contro l’arte nuova, la persecuzione degli artisti che la rappresentano e la loro fuga prima in giro per l’Europa, poi verso gli Stati Uniti d’America.

Ad essere prese di mira sono tutte le avanguardie: Cubismo, Espressionismo, Surrealismo, Astrattismo, ma non vengono risparmiati neanche il Romanticismo e l’Impressionismo.

La censura dell’arte rientra nel più vasto progetto di controllo dell’intero sistema culturale ed educativo del governo. Così oltre all’arte, neanche l’architettura, l’editoria, il cinema e il teatro sfuggono all’epurazione.

Niente deve distrarre dall’ideale nazionale di integrità e grandiosità. Il primo passo consiste nella sostituzione di direttori e curatori di musei e gallerie d’arte con esponenti del regime che procedono alla rimozione delle opere incriminate.

La condanna della nuova arte si concretizza nella mostra “Arte degenerata” che apre al pubblico il 19 luglio del 1937 a Monaco di Baviera. Il termine degenerato veniva preso in prestito dalla psichiatria che così definiva le malattie del sistema nervoso e che faceva riferimento alla regressione dell’ammalato a livelli primitivi.

L’angelo del focolare, Max Ernst, 1937, collezione privata

In pittura sono degenerati tutti quegli artisti che danno voce alla psiche (i surrealisti come Max Ernst), all’ interiorità, all’emotività o che semplicemente si allontanino dalla celebrazione formale della realtà esteriore affidandosi ad un linguaggio astratto.

L’allestimento e la scelta del luogo sono studiati con cura perché il messaggio negativo di degenerazione arrivi al pubblico. Centinaia di opere ricoprono le pareti di ambienti stretti e bui, appese in maniera sciatta e disordinata, accompagnate da didascalie e commenti offensivi scritti a mano sui muri .

L’idea che si vuole comunicare a partire dall’ allestimento è proprio quella del male, della degenerazione, senza lasciare spazio all’interazione personale dello spettatore con le singole opere e veicolandone il giudizio. Infatti, in contrapposizione all’ “arte degenerata” viene inaugurata, quasi contemporaneamente, la mostra sulla “Grande arte tedesca“.

Edificio imponente, spazi ampi e luminosi, un allestimento pulito e rigoroso per celebrare l’arte del regime, la sola capace di esaltare le virtù, la grandezza e l’integrità del popolo tedesco, tradotte nei termini formali di perfezione, armonia e monumentalità.

Il compito dell’arte secondo Hitler non è quello di esprimere degenerazione ma di trasmettere “benessere e bellezza”. Da questo presupposto nasce la persecuzione di tutti quegli artisti che con le proprie opere denunciavano il disagio avvertito non solo nella Germania di quegli anni ma in tutta Europa, esercitando una chiara opposizione al regime nazista.

Crocifissione bianca, Marc Chagall, 1938, The Art Institute, Chicago

Artisti di origini ebraiche come Chagall, ma anche russi come Kandinsky o tedeschi come Max Ernst cercano rifugio prima in Francia, l’ultimo baluardo di libertà politica, e poi oltreoceano.

È proprio in Francia che molti di essi, tra cui Max Ernst, conobbero il “Camp des Milles”, il campo di prigionia riservato ad artisti ed intellettuali dissidenti.

Per molti di essi la speranza di salvezza fu rappresentata dalla ERC (Emergency Rescue Committee), un’organizzazione americana che si proponeva di portare in salvo tutti i perseguitati dal regime che avevano cercato rifugio in Francia e che, dopo la resa militare, erano finiti nelle liste di “consegna su richiesta”.

Varian Fry, inviato e rappresentante della ERC, fu il vero ed unico artefice della salvezza di molti artisti ed intellettuali, colui che diede vita ad un poderoso esodo dall’Europa verso gli Stati Uniti.

È il 1940, New York diventa terra d’incontro di due culture artistiche.

Puoi trovare qualche informazione in più in questo libro.

Antonietta Pignataro
Antonietta Pignataro
Antonietta Pignataro, laureata in materie letterarie con indirizzo storico-artistico. Ha svolto attività di catalogazione per la Soprintendenza B.A.A.A.S. Ha ricoperto il ruolo di professore a contratto presso la cattedra di Storia dell'Arte Contemporanea del Politecnico di Milano, ha collaborato con la rivista "Miscellanea", pubblicato saggi e presentato mostre.

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