Nostalgia di casa quando si è ancora a casa
Sul litorale tirrenico della Sicilia, fra Messina e Palermo, dove il maestrale soffia forte e spesso, si stende una zona chiamata Casa Bianca. Sono anni che non ci torno. Forse una ventina. E tanti anni che non parlo di questo meraviglioso tratto di spiaggia che i miei cugini abitano d’estate. Fra le strade abbellite di oleandri e palme, a guidarmi oggi ho solo il ricordo. Di una lunghissima spiaggia d’oro dove ragazzini correvamo gridando e ridendo, per lanciarci infine fra le onde. Fra le case e la spiaggia c’erano poi gli Orti (in dialetto messinese “Ottira”), terre coltivate ad uva Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio. Da questi vitigni nasceva il vino Faro. E poi c’erano ancora meloni e ortaggi di tutti i tipi. Piccoli pozzi o cisterne offrivano l’acqua che serviva per irrigare le piantagioni. Nel ricordo, un vero piccolo Paradiso.
Dopo i convenevoli dell’incontro, adesso, con dolore, i miei cugini mi mostrano una spiaggia stretta che si allunga appena davanti alle case. Rimango impietrita davanti a quella striscia di sabbia scura, quello che è rimasto della bellissima spiaggia e della terra coltivata della nostra infanzia. E mi rendo conto di quanto dispiacere questo cambiamento abbia procurato ai miei cugini che hanno visto, anno dopo anno, assottigliarsi quel lembo di terra.
I cambiamenti climatici stanno determinando l’innalzamento del mare. Nessuno in queste contrade, ha provveduto a creare una barriera di massi che avrebbe senz’altro rallentato quel tremendo processo di erosione di cui constato con tristezza profonda il risultato.
Filippo, il più giovane di noi cugini, mi racconta come ha vissuto quel cambiamento. “Non poter fare niente, nonostante le lettere alle autorità per cercare di mettere un freno all’avanzare del mare, magari posando dei massi sul litorale, mi aveva messo in uno stato d’ansia che non ti so dire. Per un periodo non sono riuscito più a venire a coltivare quello che ancora era rimasto: ero depresso. Non ti dico poi guardare documentari o film sui disastri ambientali. Impossibile. Poi, una sera che ero qui, un maestrale tremendo ed una mareggiata fortissima, hanno spazzato via, fino davanti a casa, tutto quello che avevo piantato. E’ stato un colpo tremendo, credimi!”
Quelle sue parole mi riportano alla mente un articolo sulla Solastalgia, letto da poco. Appena a casa, vado a cercare l’origine della parola che prima di questo incontro mi sembrava così astrusa e lontana. E’ composta dal latino ‘solacium‘ (conforto) e dal greco ‘algia‘ (dolore) ovvero nostalgia del conforto. Un neologismo coniato una ventina di anni fa dal filosofo australiano Glenn Albrecht per definire un disturbo della mente individuato da un team di psichiatri australiani dell’università di Newcastle. La nostalgia, e la conseguente ansia depressiva che si prova verso un luogo a cui avevamo legato degli affetti e che adesso ha modificato profondamente la sua natura. Un vero e proprio malessere psicologico, derivato da un senso di impotenza e tristezza nell’affrontare i disastri ambientali.
La rottura di un equilibrio, determinata in parte anche dall’uomo, rompe anche la rottura con la parte innata, primordiale, che è dentro ognuno di noi, sostiene Clarissa Pinkola Estés, la scrittrice psicologa autrice di Donne che corrono coi lupi. La parte segreta dove custodiamo la Natura dentro di noi, soffre vedendo “fuori di noi” quello che la Natura soffre.
Risento le parole di Filippo, il dolore vissuto che è riuscito a comunicarmi. E tutto questo non l’ho appreso da un articolo di giornale, ma era lì, davanti a me. Era reale. Mi rendo conto, in maniera immediata, che migliaia di persone nel mondo vedranno messi a rischio il proprio ambiente, la propria sopravvivenza, le proprie fonti di sostentamento. Fauna marina minacciata e sommersa da Mari e oceani di plastica, aria sempre più inquinata e malata, scioglimento dei ghiacciai, estinzione di alcune specie animali. E già da anni assistiamo a grandi migrazioni in parte dovute anche a questi fattori ambientali.
Dall’Antropocene (dove il pericolo della vita sembra lo stesso Essere umano), al Necrocene (dove assistiamo all’estinzione di tante specie di vita) al Pirocene (dove assistiamo a grandi incendi in tante Regioni della Terra, che minano l’equilibrio naturale).
Il nostro mondo, la nostra “casa” possono andare distrutte, ed ognuno di noi potrà sentirne la responsabilità. Secondo gli studiosi australiani, ciò si traduce come: «La nostalgia di casa che si prova quando si è ancora a casa».
Non so quanto la solastalgia, questa forma di depressione o ansia sia facile da curare. I malesseri che si manifestano sono vari e chi si occupa per lavoro della salute mentale degli umani sa quanto sia complicato restituire serenità in questi casi.
Credo però che tutti noi possiamo – dovremmo, forse – affrontare la Solastalgia in maniera attiva. Non subendo notizie e disastri che ci vengono annunciati da media e schermi, ma impegnandoci, lottando in prima linea per cambiare questo stato di cose. Cerchiamo modi per arginare il disastro e applichiamoli nel nostro quotidiano. Se ne abbiamo voglia e tempo, diventiamo attivisti ambientali. C’è tantissimo da fare. Cominciamo da una corretta raccolta differenziata a casa; utilizziamo meno imballaggi e plastica, acquistiamo cibi biologici e a chilometro zero; scegliamo prodotti come cibi, bevande detersivi per la casa e la persona, venduti sfusi; utilizziamo il meno possibile l’automobile e scegliamo mezzi pubblici, bicicletta o una sana passeggiata.
Se l’evoluzione che abbiamo anche noi umani determinato è a questo punto, spetta ancora a noi assumerci la responsabilità di prendere decisioni in grado di frenare o impedire che si arrivi ad un caos distruttivo per la nostra specie e per l’ambiente che ci ospita.
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