Una greca a Parigi
Quando si pensa alle donne del sistema dell’arte probabilmente il primo nome che ci viene in mente è quello di Peggy Guggenheim. Non potrebbe essere diversamente. Le rocambolesche vicissitudini dell’estrosa e geniale collezionista americana, il fondamentale contributo alla diffusione dell’arte d’avanguardia, il fascino e l’estrema umanità che avvolgono la sua figura, l’hanno resa immortale. Eppure, nascosta tra le pagine della storia e purtroppo sconosciuta dai più, c’è un’altra donna che ha rivestito un ruolo fondamentale nelle vicende artistiche del secolo scorso: Iris Clert.
Di origini greche, sposa il produttore cinematografico Claude Clert insieme al quale, durante la Seconda Guerra Mondiale si unisce alla Resistenza. Inizia la sua carriera come gallerista e curatrice alla soglia dei quarant’anni e senza saperne molto di arte, per volere delle stelle, letteralmente. Tutto comincia consultando il suo astrologo, che le predice che è destinata a lasciare il segno nell’arte. Decide così di rischiare il tutto per tutto e buttarsi a capofitto in quest’avventura.
Siamo alla metà degli anni Cinquanta quando Iris ha la possibilità di esporre. Dopo l’orario di chiusura, alla Galerie du Haut-Pavé (gestita da un’associazione senza scopo di lucro) presenterà alcune opere del greco Takis. Le opere vengono vendute nel giro di pochissimo tempo. Forte di questo successo, nel 1955 in Rue des Beaux-Arts n.3, Iris apre una propria galleria, l’Iris Clert Gallery. Le minuscole dimensioni del locale, un’unica stanza di circa 20 metri quadrati, non sono un ostacolo. La gallerista dà vita al “micro-salon” (micro-salotto): gli artisti espongono opere che sono, tendenzialmente, di piccolo formato.
Nel giro di poco tempo la minuscola galleria parigina di Iris Clert diventa un importante centro di diffusione dell’arte più recente. Accoglie i lavori di alcuni degli artisti più interessanti del panorama artistico contemporaneo. Dai già celebri Max Ernst e Pablo Picasso ad altri che ancora stanno cercando di trovare il proprio posto nel mondo dell’arte, come Yves Klein. Proprio a quest’artista si deve, in parte, l’ascesa della galleria.
Nel dicembre del 1955 Klein propone a Iris Clert di esporre uno dei suoi monocromi. Dopo una lunga opera di convincimento, la gallerista accetta l’offerta: l’opera non resta invenduta per più di pochi giorni.
Da questo momento in poi inizia la collaborazione tra i due. Klein espone, accanto a Picasso ed Ernst, al Micro-Salon d’Avril del 1957, la prima grande mostra della galleria. Successivamente, anche in occasione delle sue personali “Propositions Monochromes” (1957), “La forêt d’ésponges monocromatici” (1958) e “Le Vide” (1958). Proprio a quest’ultima mostra e a “Le Plein” di Arman (1960), più che ad ogni altra esposizione, si lega il nome dell’Iris Clert Gallery.
Nel primo caso, l’artista svuota completamente la galleria eliminando ogni tipo di arredo e dipinge di bianco tutte le pareti, utilizzando lo stesso solvente usato per le sue tele monocrome, in modo da ripulire la galleria dalle mostre precedenti e farne il suo spazio di lavoro. Un’azione essenziale per l’artista le cui azioni sono finalizzate a dare vita a un ambiente apparentemente vuoto ma che, in realtà, è stato creato e modificato dall’artista il quale, agendo, ha lasciato la sua traccia. Lo spazio non è davvero vuoto in quanto è impregnato della sua sensibilità artistica che l’osservatore è in grado di percepire.
Nel secondo caso, Arman compie l’operazione opposta a quella dell’amico Klein. L’artista riempie la galleria di rifiuti di ogni tipo raccolti per le strade della città, di opere invendute, cataloghi di mostre, materiale organico. Una scelta che si lega alla tendenza, tipica del Nouveau Réalisme, di prelevare la realtà includendola nelle proprie opere. E’ il realismo che compie un passo in avanti: non è più mera rappresentazione di ciò che si vede. Ciò che si vede fa parte della realtà e il pieno di Arman è proprio questo: un’enorme accumulazione di oggetti diversi che sono la realtà.
Si capisce che questa scelta fa da contraltare al «Vuoto» di Klein il quale imbiancando e svuotando la galleria, mette in mostra il museo, le sue più grandi paure: essere svuotato, privato degli oggetti che lo costituiscono. Arman riempie quel luogo monumentale di oggetti qualsiasi, di scarti e li pone al posto delle opere d’arte.
Durante gli anni Sessanta l’attività della galleria continua incessantemente, Iris Clert esporta all’estero i suoi micro-salotti e rappresenta i suoi artisti in America così come in Italia. Alla Biennale di Venezia del 1962 nessuno di essi espone ma Iris decide di allestire una propria Biennale in un antico palazzo su Canal Grande, la volta successiva il luogo prescelto è, invece, uno yatch. Si capisce, anche solo da queste poche notizie, l’intraprendenza e l’esuberanza della gallerista greca che, forse a causa di questa stessa audacia e di poco senso pratico si è trovata costretta a chiudere la galleria.
Già da tempo Iris ha problemi economici. Non riesce a pagare gli artisti nè l’affitto, vuole trasferire la galleria in un locale più ampio ma non ha il denaro per farlo. Inventa così un curioso quanto geniale stratagemma: dà vita agli “Emprunt Iris Clert”, prestiti sotto forma di buoni illustrati da René Brô, che vende a più persone possibili.
La soluzione, però, è solo provvisoria e nel 1971 la galleria chiude definitivamente. Eppure, nonostante le difficoltà, anche questa volta Iris trova una soluzione originale: acquista un camioncino, “Stradart”, e dotandolo di vetrine dove espone le opere d’arte inizia a viaggiare per l’Europa.
Nel 1986, ormai in povertà, Iris Clert viene a mancare.
Nonostante le avversità, Iris Clert è stata una personalità di spicco nella scena artistica del XX secolo, oltre ad essere stata anche una figura controversa, spesso criticata per la sua gestione della galleria e per la sua esuberanza. Tuttavia, il suo contributo alla diffusione dell’arte contemporanea e alla creazione di nuovi spazi espositivi ha avuto un impatto duraturo sulla scena artistica francese e internazionale che, purtroppo, viene spesso dimenticato.
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